Aziende di successo
“Io voglio che la Olivetti non sia solo una fabbrica, ma un modello, uno stile di vita. Voglio che produca libertà e bellezza perché saranno loro, libertà e bellezza, a dirci come essere felici!”
Adriano Olivetti, imprenditore italiano nato ad Ivrea nel 1901, è stato un imprenditore rivoluzionario per la sua epoca, tanto avanti con i tempi da risultare, per alcuni aspetti, ancora atipico perfino ai giorni nostri.
Il suo pensiero fu forgiato da un miscuglio di pratica diretta, esperienza sul campo e studio delle più moderne idee sull’industrializzazione.
A 13 anni venne convinto dal padre a lavorare come operaio in fabbrica per comprendere il loro duro lavoro. Appena ventenne decise di intraprendere un viaggio negli Stati Uniti, dove visitò molte fabbriche tra cui gli stabilimenti Ford.
Proprio lì si rese conto dell’importanza di avere rigorosi metodi scientifici di organizzazione del lavoro e di ottimizzazione della produttività.
Negli anni seguenti approfondì le tematiche industriali, studiando il Taylorismo, accompagnandole anche a letture di pensatori liberali e sociali che ne temperarono gli eccessi.
Dalla fusione di tutte queste influenze venne fuori una concezione assolutamente originale, nella quale l’attività d’impresa doveva assicurare non solo buoni profitti, ma anche realizzare lo sviluppo sociale, culturale e umano di chi vi lavorava, nel rispetto delle loro aspirazioni individuali.
Insomma il lavorare per la Olivetti non doveva puntare solo al mero soddisfacimento dei bisogni primari dell’uomo, bensì creare le condizioni del suo benessere materiale e spirituale.
Concetti troppo utopistici? Alcuni dissero così, cercando di farlo passare come un folle. Adriano Olivetti non si fece per questo scoraggiare ed i risultati che ottenne gli diedero ragione.
Nonostante avesse introdotto un vero e proprio sistema di servizi sociali per gli operai (quartieri residenziali, ambulatori medici, asili nido, la mensa, la biblioteca e più avanti anche un cinema totalmente gratuiti) e avesse ridotto le ore della giornata lavorativa mantenendo invariato il salario, sia la produttività che la qualità erano enormemente aumentate.
Per aumentare i profitti si faceva leva sull’organizzazione razionale del lavoro ma soprattutto sulla motivazione e sulla partecipazione dei lavoratori alla vita e al futuro dell’azienda. La fabbrica storica d’Ivrea divenne il centro di una cultura aziendale rivoluzionaria, che fondeva aspetti scientifici con altri umanistici.
Da un punto di vista del successo aziendale, l’imprenditore piemontese puntò sempre all’eccellenza tecnologica, all’apertura verso i mercati internazionali e alla cura del design industriale, oltre che ad essere il primo nel campo dell’innovazione.
Molti aspetti che sono comuni della realtà imprenditoriale contemporanea, come la comunicazione, la cura e lo sviluppo del brand, la pubblicità, la grafica, lo studio della sociologia e della psicologia lavorativa, vennero tutti introdotti prima degli anni sessanta nei numerosi stabilimenti che la Olivetti aprì in Italia e all’estero (Brasile e Stati Uniti).
Negli anni cinquanta molti prodotti divennero dei veri e propri oggetti di culto e di modernità. La più famosa fu la macchina da scrivere portatile “Olivetti Lettera 22”, che ricevette premi sia in Italia (Compasso d’Oro nel 1954), sia all’estero (“Miglior prodotto di design del secolo”, secondo l’Illinois Institute of Technology nel 1959).
Il successo imprenditoriale di Adriano Olivetti fu formalmente consacrato dalla National Management Association di New York, che nel 1957 gli assegnò un premio per “l’azione di avanguardia nel campo della direzione aziendale internazionale”.
Negli ultimi anni della sua vita si dedicò al campo dei calcolatori elettronici (i primi computer), dove superò perfino gli americani con la produzione dell’ELEA 9003, un avveniristico computer a transistor unico nel suo genere.
Adriano Olivetti ci mostra quindi uno splendido esempio delle infinite potenzialità di una visione contro-intuitiva e creativa dell’attività d’impresa e dei successi che vi si possono raggiungere.
Come rispose a chi gli chiedeva se il suo pensiero non fosse troppo utopico…
“Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”.